Qualità della vita digitale: per l’edizione 2020 della ricerca condotta da Surfshark, l’Italia si colloca al 20esimo posto in questa speciale classifica.
L’Italia è 20esima in tutto il mondo nella classifica della qualità digitale della vita (DQL). Lo ha stabilito un’indagine di Surfshark che ha coinvolto 85 nazioni in tutto il mondo. Un risultato tutto sommato positivo, ma che rivela alcune ombre nelle possibilità di vita digitale nel nostro paese. Se risultiamo eccellenti su parametri quali i costi di accesso a internet e la sicurezza informatica, mostriamo grandi lacune nella qualità della connessione alla rete e nelle infrastrutture digitali.
Qualità della vita digitale 2020: i primi in classifica
L’indagine di Surfshark si basa su cinque parametri che, sommati, rappresentano la qualità complessiva della vita digitale. La prima nazione europea in classifica è la Danimarca. Tra i paesi fuori dall’Europa, invece, il miglior risultato è quello del Canada.
Per quanto riguarda l’Italia, i punti di forza sono i costi di accesso a Internet, dove raggiungiamo un 11esimo posto in classifica, e la sicurezza informatica, dove risultiamo 12esimi. A farci da zavorra sono invece la qualità della connessione alla rete, che ci vede 41esimi, e le infrastrutture digitali, per le quali scendiamo addirittura al 54esimo posto. Anche per questo serve accelerare sulla digitalizzazione del paese.
Qualità della vita digitale e Coronavirus
“Il progresso digitale di un paese e le esperienze online delle persone sono strettamente legati al potenziale economico del paese stesso e al benessere generale della popolazione“, ha dichiarato il responsabile della ricerca, aggiungendo: “Vogliamo con questa ricerca riuscire a stabilire una base comune mondiale uguale per tutti da cui far partire ulteriori elementi di crescita e di parificazione tra le nazioni“.
Nella ricerca 2020 non poteva ovviamente mancare un focus sull’impatto del Coronavirus nel campo della qualità della vita digitale. Il lockdown, lo smart working e il blocco dell’adeguamento delle attività informatiche ha infatti provocato seri problemi a 49 paesi su 85. Questo perché quasi nessun paese era adeguatamente organizzato per affrontare il ‘lavoro da casa’ svolto da milioni di persone.
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